Santa Maria in Cappella

Dopo aver percorso un dedalo di stradine e vicoletti, tra piazza S. Cecilia ed il Tevere, si rimane un po’ delusi quando si arriva alla chiesa di S. Maria in Cappella. La piccola chiesa quasi si perde tra anonimi edifici che la stringono e la soffocano. L’annesso edificio, confinante con il trafficatissimo Lungotevere Ripa, non ricorda nemmeno lontanamente l’antico splendore del palazzo e meraviglioso parco, proprietà di una delle famiglie più ricche e famose di Roma: i Pamphilj.

La prima notizia che si ha di questa chiesa risale al 1090, questo è certo, poiché è scritto su una lapide ancora conservata all’interno; meno certo è se, in quella data, la chiesa sia stata restaurata o costruita ex novo. In origine era denominata S. Maria ad Pineam e l’appellativo «in Cappella» deriva forse dagli artigiani della zona che costruivano i barili o “cupelle”. Un’altra spiegazione più fantasiosa e divertente è data dall’Armellini e da altri studiosi: «Cappella» sarebbe una sorta di soprannome dato dal popolo che aveva trasformato una parola latina incisa sulla menzionata lapide: «quae appella» (abbreviazione di «quae appellatur») divenne «quapella» e poi «Cappella».

Dopo la prima metà del XII secolo non si hanno più notizie della chiesa la quale, con tutta probabilità andò lentamente in rovina. Fu restaurata nel 1391 da un certo Andreozzo Ponziani, suocero della patrona di Roma S. Francesca Romana, il quale aveva fondato un ospedale annesso alla chiesa. La stessa Francesca Romana si occupò dell’ospedale dopo la morte del suocero. Nel secolo XVI l’ospedale fu abbandonato e la chiesa, in stato di semi abbandono, fu affidata alla famiglia dei Barilai, i quali la restaurarono ancora una volta. Dopo alterne vicende la chiesa nel 1653 fu affidata da papa Innocenzo X alla famiglia Pamphilj. Si occupò della proprietà l’astuta Donna Olimpia Maidalchini, cognata di Innocenzo X. La nobile signora possedeva terreni e case confinanti con la chiesa e con l’edificio ospedaliero. Essa trasformò il tutto in un meraviglioso giardino pieno di piante rare, fiori, fontane e giochi d’acqua, casini, statue, viali in mezzo al verde degradanti fino al fiume. Alla morte di Domma Olimpia, completò i suoi progetti il figlio Camillo; ma all’inizio del 1700 i nipoti di Camillo si disinteressarono di tutto e affittarono la proprietà. La chiesa passo ai Marinai di Ripa e Ripetta che la tennero fino al 1858.

Fu sempre un discendente dei Pamphilj, Filippo Andrea Doria Pamphilj, che si occupò, nella seconda metà dell’800, dell’ennesimo restauro della chiesa. Architetto progettista fu Andrea Busiri Vici, il quale cercò di riportare la chiesa al suo aspetto medioevale. Furono rimosse dalla facciata le aggiunte barocche e cancellati due affreschi di scarsa importanza; fu ricostruito un protiro (un piccolo portico addossato al portale di ingresso) con sovrastante finestrone ad arco, come doveva essere nel 1300, e fu restaurato il campanile romanico a bifore.

Oggi del sontuoso parco di Donna Olimpia non esiste più nulla; il Lungotevere lo mutilò alla fine dell’800. Qualche anno prima venne costruito un edificio di cinque piani al posto del Casino. Nel 1859 si inaugurò un ospedale geriatrico, che tutt’ora esiste, e la chiesa venne affidata alle «Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli».

L’interno è diviso in tre navate da cinque colonne di spoglio per ogni lato: quelle della navata destra hanno le basi originali tutte diverse, e i capitelli corinzi. La navata sinistra, con tre ampie finestre, fu completamente rifatta nell’800 quando furono anche ricostruite le basi delle colonne, i capitelli e la trabeazione. Molte decorazioni interne della chiesa risalgono al restauro del 1875.

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