Ai piedi del Palatino, S. Anastasia ha mantenuto nei secoli il suo habitat primitivo. Ai margini di via S. Teodoro, è circondata a sinistra da una fiancata di edifici ad un piano tipicamente medievali, mentre sulla destra degradano le rovine del Palatino.
Chiusa da anni per restauri ancora in corso, S. Anastasia deriva la sua maestosa accoglienza sia dall’ampiezza della piazza che dall’imponente conformazione della facciata seicentesca, abbracciata da due campaniletti di foggia berniniana. L’aspetto esterno è, però, fuorviante, è una delle chiese più antiche e le sue origini risalgono al IV secolo, come “titulus” costruito a proprie spese dalla matrona romana Apollonia, in onore della santa martirizzata durante l’impero di Diocleziano. Da allora inizia una lunga e affascinante storia intessuta di incontri con personaggi storici, di innumerevoli importanti restauri.
Il primo rifacimento fu opera di Teodorico, in un periodo in cui la chiesa, superata la fase privata, doveva essere ampiamente decorata di mosaici. Non a caso il secondo incontro è uno dei pontefici più celebri della storia: nelle iscrizioni poste al fianco dell’altare si ricordano le visite di S. Gregorio Magno per celebrarvi la seconda messa natalizia, quale sede della stazione di Natale, in virtù della prerogativa che derivava alla chiesa dalla ricorrenza del martirio della santa consumato proprio il 25 dicembre. Sempre da qui, durante il medioevo si partiva per la prima stazione quaresimale in S. Sabina ed il pontefice vi distribuiva le ceneri al popolo. L’importanza che il tempio mantenne per molto tempo è confermata dal fatto che durante la dominazione bizantina esso funzionò da chiesa ufficiale dei rappresentanti dell’Impero d’Oriente insediati sul Palatino.
Dopo i ripetuti restauri ad opera di leone III alla fine del secolo VIII, di Gregorio IX nel IX secolo, di Innocenzo III nel 1210 e di Sisto V, la riedificazione operata da Urbano VIII nel 1636 conferisce alla chiesa l’attuale facciata, mentre l’interno settecentesco è curato dall’architetto Carlo Gimacchi per conto del cardinale portoghese De Cunha.
L’interminabile succedersi dei restauri, continuato da Pio VII nel 1818 e con Pio IX nel 1850, non è ancora concluso: l’ultimo iniziato nel 1978 è ancora in corso.
La facciata seicentesca è a due ordini sovrapposti: il superiore è diviso da lesene di ordine ionico, mentre in quello inferiore la porta è fiancheggiata da lesene doriche abbinate. I due campaniletti laterali hanno fatto pensare al passato al Bernini, ma l’opera è ormai attribuita ad un suo allievo, l’architetto Luigi Arrigucci. L’interno mantiene qualcosa del tempio originario, il soffitto ligneo, le colonne di marmi colorate addossate ai pilastri, le tre navate, ma l’impatto immediato è con una tipica sala settecentesca, ampia, elegante e luminosa. Sul soffitto spicca il Martirio di S. Anastasia opera di Michelangelo Cerruti. Guardando la chiesa all’interno non sfugge la deliberata sproporzione tra la navata centrale e le due navate: in fondo a quella di sinistra spicca il monumentale sepolcro in stile rinascimentale del cardinale Angelo Mai, morto nel 1854, passato alla storia per essere l’uomo che apprese il maggior numero di lingue e dialetti in tutta la storia umana. Le opere più importanti della chiesa sono tutte collocate nella zona dell’abside e dell’altare maggiore. Vi spiccano l’edicola marmorea contenente la “Nascita di Gesù” di Lazzaro Baldi, il pittore pistoiese influenzato da Pietro da Cortona e dal Maratta, cui si devono anche la “Gloria di s. Anastasia” sulla volta della navata, la decorazione marmorea della tribuna dell’abside, e infine la statua della santa attribuita a Francesco Aprile ed Ercole Ferrara.
Come per molte altre chiese antiche, anche S. Anastasia offre i motivi forse di maggiore interesse nelle scoperte realizzate nel sottosuolo. Benché sia difficilissimo accedervi, dagli scavi realizzati risulta che la chiesa sorge sugli annessi del Circo Massimo, di cui ci sono grandiose testimonianze allineate su una strada: tra gli altri, assai interessanti i resti delle “tabernae” al servizio degli spettatori del Circo.