Nell’angolo nord di piazza Vittorio, sorge una delle più antiche chiese di Roma: S. Eusebio. Si dice che la fondazione risalga al IV secolo e che l’edificio sia stato costruito sui ruderi della casa di un certo Eusebio, prete martire, torturato e ucciso nel 361 dall’imperatore Costanzo II. La casa di Eusebio, dopo la sua morte, fu trasformata in “titulus” e consacrata da Papa Liberio (352-366). Al di sotto dell’attuale chiesa furono effettivamente rinvenuti alcuni importanti reperti archeologici; i sotterranei non è possibile visitarli a causa dell’inagibilità del luogo.
La chiesa fu restaurata nell’VIII secolo da papa Zaccaria, da Adriano I e da Leone III e, nel IX secolo, da Gregorio IV. Durante il pontificato di Gregorio IX (1227-1241) fu ricostruita ex novo. Nel XV secolo fu affidata ai padri Celestini; costoro nel 1588 la restaurarono insieme all’annesso convento, facendo perdere le ultime tracce della vecchia chiesa medievale. Fanno eccezione il campanile del secolo XII, visibile, però, solo dal cortile del monastero e l’antica abside, con finestra barocca, visibile da via Principe Amedeo.
Gregorio XIII (1575-1585) istituì particolari indulgenze per coloro che visitassero la chiesa nel giorno del santo Eusebio e pregassero per la concordia dei principi cristiani, per l’estirpazione delle eresie e per la tranquillità della Chiesa, come è testimoniato da una targa marmorea nel portico.
Nel 1711, per volere del cardinale Enrico Enriquez, Stefano Fontana realizzò l’armoniosa facciata costituita da un portico a cinque arcate sopra ognuna delle quali si apre una finestra sormontata da timpano e da cuspide. A coronamento della facciata troviamo una balaustra ornata di statue e, al centro, una grande lunetta con due angeli.
Soppresso l’ordine dei Celestini, la chiesa venne affidata ai Gesuiti, che aprirono una casa per gli esercizi spirituali. Vi rimasero fino al 1883, quando il monastero divenne proprietà del Governo Italiano. Nel 1889 divenne parrocchia e fu affidata al clero secolare.
Anche l’interno ha perso completamente le antiche caratteristiche, essendo stato ristrutturato nel 1759 da Niccolò Picconi. È diviso in tre navate da archi e pilastri. L’opera più degna di nota è l’affresco sulla volta della navata maggiore, che raffigura la “Gloria di S. Eusebio”, realizzato da Antonio Raffaelli Mengs nel 1759. Sull’altare maggiore, eseguito su disegno di Onorio Longhi, vi è ora un’immagine della vergine di Pompeo Batoni (sec. XVIII), in sostituzione di una pala di Baldassarre Croce (sec. XVI). Da notare lo splendido coro con stalli lignei finemente intagliati che i celestini fecero costruire da artigiani del ‘500.
Due episodi legati a questa chiesa sono da ricordare: il primo, è che dal monastero annesso fu impiantata, durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484), la prima stamperia romana; i primi testi stampati furono le opere di S. Giovanni Crisostomo commentate da Francesco Aretino. Il secondo più recente, è che il giorno 17 gennaio, sul sagrato della chiesa, si svolge la tradizionale benedizione degli animali in occasione della festa di S. Antonio Abate; questa cerimonia veniva precedentemente compiuta di fronte l’omonima chiesa.