Uno dei quartieri di Roma dove è più forte il dislivello tra i piani delle strade e delle pavimentazioni antiche rispetto a quelle attuali è Trastevere, per la maggior parte compreso nella XIV regione augustea (transtiberim), delimitata dal fiume e dal Gianicolo. Questo quartiere, depresso, intensamente popolato da umili cittadini, barcaioli, scaricatori di porto, vasai, conciatori e tintori (gli antichi elenchi catastali romani ricordano 4405 insule, 90 domus, 22 horrea o grandi depositi di derrate), subiva spesso l’azione devastatrice delle piene del Tevere, al punto che lungo un tratto trasteverino la via Aurelia fu sopraelevata con arcate di blocchi di tufo.
Nel 1899 durante gli scavi dell’atrio della chiesa di S. Cecilia e sotto la basilica si rinvennero i resti di un edificio di epoca repubblicana consistenti in un muraglione in blocchi di tufo (opera quadrata) ed in alcune colonne, forse pertinenti ad un peristilio. In una nicchia è conservato una sorta di “larario” (altare domestico), dove, in un rilievo in tufo, è raffigurata Minerva davanti a un altare; intorno, sul muro, ci sono ancora alcune rozze lastre in terracotta con figure di donne sacrificanti.
L’edificio venne rimaneggiato tra il II e il IV secolo d. C. e collegato con altre costruzioni repubblicane adiacenti; qui forse fu installato un laboratorio per la concia delle pelli e vennero costruite a tal fine sette vasche cilindriche in mattoni, ancor oggi visibili. In altre stanze si conservano anche resti di pavimentazioni a mosaico con composizioni geometriche.
La casa romana, secondo la tradizione, vide il martirio di S. Cecilia, avvenuto durante il regno dell’imperatore Marco Aurelio (161-180) e divenne quindi titolo cristiano nel IV secolo.